Cercatemi in giardino

da | Lug 5, 1997

Tra i temi e i motivi letterari che i poeti crepuscolari e liberty hanno mutuato con più assidua frequenza dal simbolismo e dall’estetismo europeo ed italiano di fine secolo, spicca quello dell’hortus conclusus, dell’hortus animae. Il parco chiuso (anzi «serrato serrato serrato, / serrato da un muro ch’è lungo / le miglia le miglia le miglia, / da un muro coperto di muffe, / coperto di verdi licheni, grondante di dense fanghiglie», per citare il Palazzeschi di Lanterna), il giardino muto e abbandonato appartiene a pieno titolo al repertorio più tipico e consueto della «poetica degli oggetti» crepuscolare, insieme ai conventi, agli ospedali, agli organetti di Barberia, ai beghinaggi.
Nella «misteriosa impenetrabilità» dell’hortus conclusus del Poema paradisiaco, i poeti del secolo nuovo, da Covoni a Corazzini, da Cozzano a Palazzeschi, a Marino Moretti, sembrano ritrovare «quella nostalgia delle cose che non sono più, quel senso di dissoluzione che dominerà la ribalta del loro lirismo» e a cui D’Annunzio quasi li inizia: «Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato / serba ancora per noi qualche sentiero. Ti dirò come sia dolce il mistero / che vela certe cose del passato». Come ha osservato Edoardo Sanguineti, il parco (con eventuali sottotemi: i sentieri, la fontana, le statue), «si presenta come spazio morto, spazio in rovina, in cui si rifugiano con dolente malinconia il sogno e la nostalgia, in mesta evocazione, ritrovandovi, con gli amari segni dell’abbandono, il sapore sublime delle cose defunte, del passato irrevocabile e perduto». Uno spazio chiuso che risuona di «vano senso di desii distrutti», di «nostalgia di morte». Ed ecco che «il giardino trapunto di sentieri / s’inebria di rose moriture», ecco i «bianchi balaustri» corrosi dal tempo, ecco i «viali chiusi come tombe», gli alberi dalle «mutilate braccia» o irrigiditi «a guisa di cadaveri», l’«ambiguo senso di languore» che «cinge con l’irriducibile sua spira il popolo di statue silvestri», le statue «bianche e corrose», «moribonde e rotte», «solitarie e monche», la gramigna che spunta tra i fiori «e li avvince, soffoca, disperde». e per D’Annunzio i «muti giardini» erano già «cimiteri senza avelli», anche per Marino Moretti «il piccolo camposanto è un precluso giardino».
Tema assai caro alla poetica morettiana, l’ hortulus animae e il giardino dei frutti delle poesie crepuscolari, il giardino dietro casa, il brolo con le pareti dei versi degli ultimi anni, è presente, nella mostra, in testi appartenenti alle prime edizioni, spesso con dediche autografe e incisioni xilografiche, o ai manoscritti dell’archivio del poeta.
Nel percorso allestito a Casa Moretti viene inoltre esposta una ricca serie di testi di altri autori d’inizio Novecento.

Nel contesto della mostra, Stefano Campana, architetto e artista che da qualche tempo si impegna anche sul versante della tutela dei beni culturali, presenta mia collezione di incisioni (stampate a tiratura limitata), realizzate con la tecnica della puntasecca su rame, e ispirate al tema dell’hortus conclusus. Le opere, nelle quali rigore e immaginazione si incontrano sotto il segno di una personale visione figurativa, danno vita ad un luogo poetico fondato sulla memoria ma proiettato ad una dimensione della coscienza, evocando archetipi essenziali che paiono contrapporsi alla profusione e allo sperpero tipici della cultura artistica contemporanea.

Gli orti della poesia da Pascoli ai crepuscolari Testi e immagini a cura di Manuela Ricci

Giardini dell’anima Quindici incisioni di Stefano Campana

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