«Non c’è luogo, per me che sia lontano». Itinerari europei di Marino Moretti

da | Lug 1, 1999

Introduzione
Renzo Cremante

Casa Moretti è un istituto culturale del Comune di Cesenatico destinato alla conservazione e alla valorizzazione della biblioteca e dell’archivio che Marino Moretti, con pubblico testamento redatto il 4 aprile 1978, volle legare alla Biblioteca civica che porta oggi il suo nome, e per essa al Comune di Cesenatico. Sua sede è la casa sul porto canale in cui lo scrittore era nato il 18 luglio 1885 e dove trascorse la maggior parte di una vita eccezionalmente lunga ed operosa, fino alla morte sopraggiunta il 6 luglio 1979; e che Ines Moretti, interprete generosa e sensibile della volontà del fratello, donò ancora al Comune, nel febbraio 1980, insieme all’arredamento, avendo la donazione come scopo specifico ed esclusivo «lo studio, l’istruzione, l’educazione e comunque la pubblica utilità». I compiti statutari che da quasi tre lustri Casa Moretti continua ad assolvere con discrezione pari alla costanza dell’impegno, annoverano non soltanto, come è ovvio, la conservazione, la tutela e lo studio del patrimonio bibliografico e documentario custodito, ma anche, a tacer d’altro, la ricerca, il reperimento e l’acquisizione di materiali morettiani o d’interesse morettiano, così come la promozione di iniziative culturali rivolte sia alla ricerca, sia alla divulgazione, in costante collegamento col mondo della scuola.
Era dunque naturale e ben doveroso che a vent’anni dalla morte dello scrittore Casa Moretti ed il Comune di Cesenatico si proponessero di celebrarne la memoria con la duplice iniziativa di un convegno internazionale di studi e di una mostra bibliografica, iconografica e documentaria, l’uno e l’altra, come sembrò opportuno, intesi ad illustrare, attraverso alcuni campioni scelti fra i più significativi (ma non poteva non spiccare, nella mostra, la parte di Filippo de Pisis), la varia e complessa trama di relazioni e di suggestioni che legarono durevolmente, si può dire fin dagli esordi, la biografia e l’opera del più proverbiale, forse, dei nostri scrittori cosiddetti “provinciali” alla parzialità della geografia sentimentale e letteraria di un’Europa programmaticamente circoscritta alla Francia, al Belgio, all’Olanda, ai miti artistici e letterari, soprattutto, di Parigi e di Bruges, anzi di Bruggia, già parola-chiave e rima-chiave ironicamente dantesca, quest’ultima, di una delle liriche più emblematiche e, alla lettera, memorabili, non soltanto delle Poesie scritte col lapis, ma dell’intera stagione poetica primo-novecentesca: «È in questo crepuscolare / giorno che l’anima prova / il bisogno di una nuova / solitudine e di andare… // e di andare fino a Bruggia, / fino al vecchio beghinaggio / per vedere un paesaggio / lagunare che si aduggia, // e di far questo viaggio / per cacciare un poco l’uggia / fino fino fino a Bruggia, / fino al vecchio beghinaggio!» (quanto alla peculiarità della rima in -uggia, solo il Montale di Satura si divertirà ancora a far quasi rimare, ma una sola volta, “uggia” addirittura con “grattugia”).
Marino “inchiostrante”, come si sa, nasce molto prima del Marino “viaggiante” (per servirci della terminologia divulgata da una lirica compresa ne Le poverazze). Ad onta delle ripetute dichiarazioni al riguardo dello stesso scrittore, i viaggi mentali e testuali (in prosa, Balzac, ma soprattutto i predi-letti e congeniali Maupassant e France; in versi, Musset, Gautier, Baudelaire, Mallarmè, Verlaine, Laforgue, e poi Verhaeren, Rodenbach, Maeterlinck, Jammes), dovettero precorrere di qualche lustro il primo effettivo pellegrinaggio morettiano a Parigi e a Bruges, più volte differito e compiuto soltanto nella primavera del 1925. Lo aveva preceduto di una dozzina d’anni sulle rive della Senna, proprio alla vigilia della guerra mondiale, Aldo Palazzeschi, l’amico fraterno col quale Moretti avrebbe diviso in seguito le seduzioni di tante primavere parigine e che in una lettera del 22 aprile 1914 gli scriveva: «Io sono a Parigi da un mese e mezzo ormai e mi trovo ogni giorno meglio, credo finalmente di avere trovata la mia città, credo. Certo che non mi sono mai sentito così a casa mia come qua […]. La mia vita è inverosimilmente bella e completa. Dopo la villeggiatura di Settignano, credo, ritornerò ancora. E allora, se tu vorrai, vieni ed avrai in me una guida eccezionale. Un solo dolore, di esserci venuto troppo tardi, cerca di non doverti fare lo stesso rimprovero».
Soltanto alla metà degli anni venti — anni per più versi fondamentali nella biografia dello scrittore, segnati, fra l’altro, dalla morte di Suor Filomena, dal consolidato successo del narratore e dall’avvio della collaborazione, poi durata un trentennio, alla terza pagina del “Corriere della Sera” — Moretti può finalmente intraprendere il tanto vagheggiato viaggio a Parigi; ed è appunto Palazzeschi, insieme a Gino Brosio, ad accogliere l’amico alla Gare de Lyon il 1° maggio 1925. Il mito letterario di Parigi caro all’appassionata giovinezza fiorentina e ‘decadente’ dei due sodali è destinato a trasformarsi rapidamente in una consuetudine privilegiata e irrinunciabile. L’amarcord nostalgico e sconsolato di questo primo soggiorno parigino non cessa di contrappuntare, de loinh, un serrato dialogo epistolare che non rinuncia al beneficio terapeutico ora della confessione spietata ora del discorso allusivo. Così da Cesenatico, in data 20 giugno 1925, Marino si affretta a scrivere a Palazzeschi, che aveva anticipato il suo ritorno in Italia: «Aldo mio, rieccomi finalmente a Cesenatico nella casa nuova o rinnovata. Quanta tristezza, e il cuore pieno di nostalgie! Tornato dal Belgio mi son fermato ancora a Parigi, e non sapevo decidermi a lasciare la cara città, nostra patria ideale. Ho rifatto solo di giorno in giorno la nostra dolce via crucis: l’ultima stazione fu il tempio del Graal gremito di bei cavalieri. Ho rivisto tutti i nostri amici, ho riudito tutte le musiche, ho goduto Parigi, ma come io posso godere: soffrendo. Ed ora la sofferenza è più acuta. Sì, è vero, tu puoi abbracciarmi con un affetto e “un’umana comprensione che non può essere di nessun altro”. Grazie d’avermi scritto queste sante parole. Mi hanno ancor più avvicinato al tuo cuore fraterno che ormai sa tutto di me come il mio crede di saper tutto di te. Ora sono molto solo e depresso». Sicché Cesenatico può anche significare, quando più acuta e insistente è la nostalgia, «una vita impossibile, undici mesi di martirio per un solo mese sfolgorante!». Ma il mito di Parigi, al di là delle prepotenti ragioni individuali e di poetica, anche per uno scrittore poco o punto invasato dal demone pratico — come avrebbe detto Antonio Baldini — si colora di altri significati, se è vero che proprio da Parigi Moretti trasmette per telegramma a Luigi Albertini la propria firma di adesione al Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce.
L’accenno al Belgio, nella lettera appena citata, si riferisce, precisamente, ad una breve ma “indimenticabile scorribanda” fiamminga compiuta in compagnia di Filippo de Pisis (poi oggetto della rievocazione affettuosa e divertita consegnata ad un capitolo de Il libro dei miei amici); e che non poteva non avere quale meta principale e obbligata il “tanto fantasticato beghinaggio” di Bruges. Il sodalizio con De Pisis, non esclusa quella che Contini chiamava la “parte notturna” dell’artista ferrarese, costituisce un altro capitolo fondamentale della vicenda parigina di Moretti; che può spingersi, talora, fino a manifestare una sorta di invidia nei confronti di un correligionario per il quale “scrivere, vivere e dipingere è una cosa sola”, come attesta una lettera a Palazzeschi del 24 dicembre 1925: «In fondo, lo invidio: la sua vita sensuale è senza dramma, senza scosse, senza sofferenze, senza rammarichi e rimorsi: è superficiale e serena e non si complica di mistero e di paradossi alla Weininger […]. Come tutto è semplice e normale!». Valga ancora, fra le altre, la testimonianza di una lettera a De Pisis del 14 ottobre 1926: «Dunque mi hai fatto vedere e sognare Parigi col suo colore madreperlaceo della Cité e dell’Ile Saint Louis e con tutte le cose che ci piacquero insieme e che tu pittore e poeta hai mostrato a me spaesato e povero diavolo. E la nostalgia che non m’ha lasciato in tutta l’estate è divenuta ora (perdona il luogo comune) qualcosa come un dolcissimo morbo: guarir non si può che a Parigi … e forse neppure a Parigi perché quando i luoghi piacciono troppo non si gustano mai». Ma il ricordo dell’inesausta attrattiva” e dell’assidua consuetudine con il marchesino pittore (e del leggendario granier di Rue Servandoni) sopravvive ancora nei versi dell’estrema stagione poetica morettiana, nel Diario senza le date, per esempio: «Pippo, conservo il cartoncino, ancora, / della tua prima mostra / a Montparnasse nel ’32. Che giostra / di colori, di fiori! la tua flora! // Tu ne scrivesti, nel verso, il menù / con un disegno ch’era / non più. d’una fruttiera, / per un pranzetto che cuocesti tu. / [.. .] / Gl’invitati due soli / in quel tuo studio insieme alto e tapino: / io e Cocò, l’ospite più ciarliero / pel continuo gracchiar da’ suoi piuoli. // Te ne ricordi, vero? / Te ne ricordi, dì?»; oppure in Tre anni e un giorno: «E gli donai più tardi un cavalletto. / Egli volle la dedica / sul cavalletto di Rue des Oiseaux / (un de’ tre piedi) come su una pagina».
Ma Parigi e la Francia, come la mostra ed il catalogo ampiamente ragguagliano, oltre ad incidere in maniera così rilevante sulla vita e sull’opera dello scrittore, costituiscono anche un capitolo non trascurabile e ancora in parte da esplorare della fortuna critica di Marino Moretti, un capitolo che deve registrare non soltanto un cospicuo numero di contributi critici e le relazioni personali ed epistolari con letterati e scrittori variamente rinomati (compresi un paio di “immortali”), da Romain Rolland a Paul Hazard, da Benjamin Cremieux a Maurice Vaussard, da Alfred Mortier a Jean Chuzeville, da Maurice Muret a Henri Poulaille, da Marcel Brion a Henry Bédarida (nel contrastato clima culturale animato, fra l’altro, dalla “Union Intellectuelle Franco-Italienne”), ma anche una stabile circolazione dei testi in traduzione francese, così dei romanzi come delle novelle, eventualmente affidata ad editori di qualità come i “Cahiers de la Quinzaine” ed Albin Michel e propiziata, soprattutto, dall’infaticabile collaborazione e dall’amicizia fedele e devota di Juliette Bertrand. Moretti, a sua volta, per la mondadoriana “Biblioteca romantica” diretta da Borgese traduce Une vie di Maupassant, un romanzo nel quale il traduttore sembra ritrovare alcuni fondamenti della sua stessa poetica: «un grande senso di pietà umana e poetica ha fatto sì che l’arte non eccedesse, che la retorica naturalista non s’infiltrasse nel misterioso tepor della pagina, e ciò non ostante le legittime inverosimiglianze dell’umile verità».
Accanto alla Francia, il Belgio e l’Olanda. E dunque, ancora, il beghinaggio di Bruges, luogo comune nonché vera e propria “soglia” della poetica crepuscolare e di Moretti, dalle Poesie di tutti i giorni («La soglia della piccola città / segna il confine ch’io tremando varco; / ecco: un sol passo sotto il gotico arco / ed io son come in un mio al di là», Il beghinaggio; «Passo la soglia, e il tuo sguardo materno / si raccoglie nell’iridi severe. / Entro per veder te, non per vedere / la fiamminga dolcezza d’un interno. // Vengo da te perché l’ultimo guizzo / del mio mondano spirito s’è spento, / e non so qual istinto o quale accento / m’abbian concesso il tu strano indirizzo. // […] // Sono malato forse, d’una strana / malattia che mi morde e che mi asseta, / di quella stessa malattia segreta / ch’ebbi da una metropoli lontana» (Ode a Elisabetta Verhaegen beghina di Louvain), a La casa del Santo Sangue e alla Fine serena del crepuscolarismo finalmente dichiarata da Pazzo Pazzi. Propria la traduzione nederlandese curata nel 1937 da Robert Van Nuffel segna l’inizio di una lunga amicizia con il decano degli italianisti belgi, documentata da un cospicuo carteggio.
Alcune recenti, fortunate scoperte archivistiche (dovute a Dina Aristodemo), qui esibite ed illustrate per la prima volta nel corso del convegno, permettono infine di arricchire la nostra conoscenza dei rapporti di Moretti con l’Olanda, altrimenti affidata alle pagine di Fantasie olandesi, nella cui elaborazione ebbe un ruolo fondamentale il letterato triestino, ma olandese d’adozione, Enrico Morpurgo. Così come dalla documentazione superstite si delinea la singolare amicizia, favorita da alcuni soggiorni nella villa di Amersfoort, che per quasi un decennio legò Marino a Tuddie Von Schmidt auf Altenstadt, colta discendente di una famiglia aristocratica di origine tedesca. Con l’Olanda si completa la geografia europea di uno scrittore e di un viaggiatore ben consapevole per parte sua che i veri viaggiatori, per citare le parole di Baudelaire esibite in fronte alla lirica de Le poverazze opportunamente prescelta per intitolare il convegno e la mostra, «sont ceux-là seuls qui partent pour partir». L’Olanda, anzi, rappresenta la sua Ultima Thule, come recita non senza ironia una lirica così intitolata e raccolta in Tre anni e un giorno: «Rispondo a una domanda: I sì, il paese del fascino è l’Olanda, / sono i Paesi Bassi. / Tanto che ci si va senza baule. / Fu Groninga la mia ultima Thule. // È come un sentimento che mi spinge / a salir quasi folle / al nord nederlandese, fino a Zwolle, / fino a Assen, Groninga, / fino a Groninga e non andar più su».

ISBN 88-491-1310-2

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