Presentazione
Nel 1955, per festeggiare i cinquant’anni di attività letteraria e i settanta di vita di Marino Moretti, il suo maggiore editore decise di affidare a Guido Lopez, allora direttore dell’ufficio stampa della casa editrice, la cura di un numero monografico de «La Fiera Letteraria», periodico di larga circolazione ed in qualche modo rappresentativo dell’establishement letterario più consolidato e ufficiale. Le resistenze dello scrittore, timoroso e schivo, non frenarono la determinazione di Mondadori e l’entusiasmo dell’amico Lopez, sicché il 24 luglio potè vedere la luce quel fascicolo che raccoglieva una silloge ricca e varia di contributi critici e di testimonianze, edite e inedite: silloge che a distanza di quasi mezzo secolo, pur collocandosi al di qua del prodigioso «terzo tempo» poetico, dell’estrema stagione creativa del festeggiato, presenta tuttavia, ancora oggi, motivi di Interesse, e potrà anzi sollecitare, si auspica, nuove riflessioni ed indagini critiche sull’opera in verso e in prosa dello scrittore romagnolo e sulla sua fortuna critica. È parso pertanto opportuno a Casa Moretti e alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che hanno in comune molte ragioni di conservazione e di studio della tradizione letteraria del Novecento, proporne una rivisitazione e una ristampa.
Il fascicolo promosso con zelo instancabile e curato con premura ed affetto da un giovane funzionario mondadoriano (legato, oltretutto, a Marino da vincoli di antica consuetudine che risalivano, attraverso i decenni, all’amicizia del padre, Sabatino, figura di rilievo della vita letteraria e teatrale primo-novecentesca), è da riguardare, prima di tutto, come testimonianza di solidarietà e di simpatia, come documento di un lavoro letterario fatto anche di intrinseca comunanza e di intense relazioni personali, di una società letteraria che aveva già visto Marino Moretti fra i suoi protagonisti di spicco, ma che sembra tuttavià avviata, virata la boa della metà del secolo scorso, ad un inevitabile, malinconico esaurimento. L’iniziativa della «Fiera Letteraria» segna forse, l’avvio di un ripiegamento, la necessità ‘di una prima revisione e bilancio della propria carriera da parte del settantenne scrittore, che avverte per la prima volta il bisogno di riordinare, sia materialmente — grazie anche all’aiuto della sorella Ines e dell’amica Fernanda Ojetti — sia, soprattutto, mentalmente il proprio archivio. Un sentimento registrato in un componimento di quegli anni: «L’archivio dei ricordi ci divora. / Dirò come preludio / che nel mio chiuso studio / c’è il tramonto e l’aurora. / C’è l’aurora che sorge dal tramonto /come a mio benefizio, / dacchè son vecchio e ho il vizio / mentale del raffronto. / Resta nel cuore e insieme nel cervello / questo tacito archivio / se mi rimette al bivio / che desti il mio cervello. / Per me tenera cosa (ed anche scaltra) / è realtà e memoria, / e l’una oggi si gloria / in segreto dell’altra. // Filze di scatoloni alle pareti, / lettere e vecchie carte. / Ecco i compagni d’arte con loro ansie e segreti. / E tutte queste lettere / sono la mia famiglia: quella n’è che consiglia / come un capo d’azienda, oggi, di smettere». L’«allegoria delle lettere», dalla cui presenza lo scrittore trae conforto di fronte all’«idea della sorte che chiude», rappresenta anche il preludio di quella nuova ultima stagione poetica che sarà inaugurata col Diario senza le date.
Con Lopez, Marino collabora attivamente, trascegliendo e scartando le «voci» da unire al coro dei sodali, critici e scrittori, unanime e omogeneo nel considerare il poeta e il narratore, l’artista e l’uomo, capace di rendere via via evidenti tutte le sfumature della sua maturazione letteraria: «dall’attore mancato nasce il poeta, dal poeta il romanziere». Così Bellonci nell’apertura in prima pagina: «Che cosa portava dunque di nuovo agli italiani Marino Moretti? Aveva incominciato con poesie “scritte col lapis” come egli diceva, negli anni della signoria letteraria di Gabriele D’Annunzio che scriveva le sue con le penne d’oca: cantando cioè le tristezze della vita quotidiana, la malinconia delle domeniche, dei cinematografi, dei giardini pubblici, perfino dei botteghini del lotto. 11 D’Annunzio preannunciava parole che dovevano significare “cose grandi”; e Marino diceva dimessamente che non aveva ‘nulla da dire. […] Un sentimento cristiano trasfigurava la poesia del Moretti che cresceva per antitesi, da un più vivo senso della realtà; ed egli, il poeta, indugiava sugli episodi meno grati dell’esistenza, […] scrutando nella loro tremenda materialità per trascorrere poi, con moto improvviso, a consolare e ad amare le creature costrette a vivere in questa materia terrena. Voleva anche soffrire della durezza e crudeltà della vita per dare agli altri conforto delle proprie sofferenze per comunicare con i propri simili. Non temeva di discendere nei recessi bui della vita umana perché in quel buio la piccola discreta lampada della sua pietà e del suo amore riluceva più chiara e più dolce E…). Gli era stato senza dubbio maestro il Pascoli nell’osservare le umili cose e nel parlarne con umana semplicità; ma non aveva appreso il linguaggio pascoliano nella sua più ardita sintassi, inaudito nella nostra poesia, nella nostra letteratura, con quelle sue nuove forme impressionistiche. La poesia sembrava spesso distaccata dalla realtà come un volubile discorso per illudere i sofferenti di questa vita. La realtà, insomma si mostrava nelle sue vicende più ingrate, nelle sue persone più cattive, cosa da narrare meglio che da cantare». In quest’ultinia considerazione potremmo ritrovare una delle cifre che sembrano caratterizzare questa miscellanea.
Siamo infatti negli anni in cui pare essersi definitivamente conclusa la stagione poetica di Marino, e sotto la lente d’ingrandimento c’è quasi esclusivamente il narratore. E, se escludiamo la pagina esemplare di Borgese che nel 1910, proprio recensendo le Poesie scritte col lapis, aveva creato per una intera costellazione di poeti la denominazione vittoriosa e controversa di «crepuscolare», numerosi sono i contributi per i romanzi, con i quali non solo si misurano i «veterani» Cecchi, Bo, Momigliano e Pancrazi, ma anche un nutrito gruppo di giovani. Alcuni di questi rappresentano idealmente la generazione di scrittori più o meno direttamente legati al magistero dell’autore dell’Andreana e della Vedova Fioravanti, come Arfelli, Prisco e Montesanto. Ma proprio questo complessivo lavoro di revisione avrebbe germinato in tempi ravvicinati la sua sorprendente ripresa creativa che, alle soglie dei suoi ottant’anni, con un nuovo, straordinario impulso e rinnovata vitalità approderà nuovamente alla poesia.
Ma la trascrizione integrale del fascicolo, con la sua fitta trama di incontri e di lettere scambiate, memorie parigine, le giornate con Marino nella terra di Grazia Deledda, affetti, allergie, giudizi morettiani sui propri giudici offre anche una vivace rappresentazione di quella parte della società letteraria che in quegli anni si raccoglieva intorno alla casa editrice Mondadori. Il legame tra Moretti e Arnoldo era di poco posteriore all’amicizia che lo aveva legato a Sabatino Lopez, padre di Guido. In partenza da Verona per Cesenatico, il 3 ottobre 1919, Mondadori ricordava infatti: «Egregio Sig. Marino Moretti, se Lei ricorda ho avuto il piacere di incontrarla in piazza Colonna a Roma, insieme all’amico Bistolfi. E così, dato che la conoscenza è fatta, le spiego subito la ragione della presente. In novembre usciranno i primi volumi di una elegantissima serie di novelle e racconti italiani, dovuti ai migliori nostri autori, titolo «Le Grazie». Il suo nome vi deve assolutamente figurare…». Ed è un Moretti sinceramente commosso quello che nel giugno del 1971 scriveva alla vedova di Arnoldo «Non mi par credibile ancora, carissima Andreina, — che Arnoldo non sia più con te (e con noi). La sola consolazione d’ora per me è di avere avuto Arnoldo sotto il mio tetto a Cesenatico per almeno un’ora, e tu eri con lui, perché sempre sei stata con Lui. Ed era l’ultima volta che gli stavo seduto accanto! Oggi è come se fosse stato non sei mesi fa, ma ieri, forse stamani… Quanti ricordi in mezzo secolo di amicizia! Io sono ormai così vecchio che non vivo che di ricordi. E in questi è sempre Arnoldo. E se c’è Arnoldo, ci sei tu». Anche per ricordare questo sodalizio umano, oltreché professionale, si è ritenuto di chiudere questo volume con una appendice dedicata ai documenti morettiani conservati nei fondi, sino ad oggi riordinati, della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Se la nostra pubblicazione potrebbe dirsi il complemento d’una fra le opere più emblematiche della scrittura morettiana: Il libro dei miei amici, del 1960, che dedica, per l’appunto, due dei suoi capitoli agli amici di sempre, Sabatino e Arnoldo, è a Guido Lopez (che nel 1995 ha per altro donato a Casa Moretti, il materiale epistolare che riguarda lo scrittore cesenaticense e quindi anche quella relativa al capitolo della «Fiera Letteraria») che va il nostro più sincero ringraziamento perché senza di lui sarebbe stato impossibile ricostruire tutto quello che si mosse dietro le quinte della «Fiera» dedicata a Marino Moretti.
Renzo Cremante
ISBN 88-491-1888-0